Giovanna Querci Favini, Il baratto, Venezia, Marsilio, 2010
A 47 anni Ghita fa il bilancio della sua vita ed è più
che in attivo: una laurea in Medicina, la cattedra di Psichiatria e la
collaborazione con il Primario della clinica psichiatrica, il matrimonio con un
uomo d’affari e due figli “troppo belli per essere maschi”, tutto sembrerebbe
dimostrare la sua realizzazione come persona ma all’apice del successo inizierà
un percorso di autoanalisi che la porterà ad affrontare i suoi conflitti
latenti.
L’amicizia con il suo Direttore che sembrerebbe qualcosa di più, il rapporto con la madre in apparenza privo di autenticità e comprensione reciproca e un amore di gioventù represso dall’aspirazione alla carriera che riemergerà dal suo passato le causeranno una forma di anoressia mentale che supererà con l’autoanalisi.
L’amicizia con il suo Direttore che sembrerebbe qualcosa di più, il rapporto con la madre in apparenza privo di autenticità e comprensione reciproca e un amore di gioventù represso dall’aspirazione alla carriera che riemergerà dal suo passato le causeranno una forma di anoressia mentale che supererà con l’autoanalisi.
Ghita scava nella profondità della propria anima fino a
perdersi dentro l’immaginazione di ciò che sarebbe stato se avesse percorso
altre scelte fino a elaborare la realtà della propria vita come scelta di
amore.
Il soggetto del libro è il bene e il male, la lettura è
apprezzabile su vari piani: quello della donna professionista, amante e moglie
e quello squisitamente femminile del Faust di Goethe (declinato al femminile).
Carmen Giagnacovo (Circolo LUMSA)
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