23 novembre 2010

Incontro con Umberto Galimberti, autore de "I miti del nostro tempo"

Premio Biblioteche di Roma 2010, Sezione Narrativa, 11 novembre 2010.
"I miti del nostro tempo", secondo Umberto Galimberti, sono quelle idee genericamente diffuse anche quando non sono, o non sono più, esaustive della comprensione della realtà del singolo e della società. C'è del vero in esse, che non sono quindi false; ma non del vero assoluto: ci dobbiamo ri-flettere. 

Dal mito dell'amore materno, il primo dei miti individuali a quello della razza, l'ultimo tra i miti collettivi - le due parti del saggio -, a chiudere un cerchio su miti, analizzati razionalmente. Come vi è dell'odio, misto all'amore, pur così grande, nelle madri per i propri figli, senza essere tutte Medee infanticide: basta che i padri non le lascino sole. Così vi è qualcosa di buono anche nell' Altro, che pur respingiamo, per paura: perché in lui vi è qualcosa di noi e perché il primo Altro da noi siamo noi stessi. Accomuno i due miti "di pancia",perché per noi donne,il figlio è l'Altro dentro di sè che prevale.Oserei dire che siamo sempre in due.

I miti di Galimberti (ma già Pietro Citati intitolò un suo saggio "I miti di oggi. L'armonia del mondo") sono idee su cui occorre essere sinceri, perché non sono (più?) luoghi di verità. Come la giovinezza e la vecchiaia, la bellezza e la tecnica, il mercato e la guerra, affascinanti perché rassicuranti, ma sempre idoli. Anzi, volendo sintetizzare i miti dell' individuo e della collettività, io eleggerei fra tutti quelli della Felicità e del Denaro. Ma un detto popolare che li ricomprende non sentenziava che "il denaro non dà la felicità"?

Allora bisogna circostanziare le cose e le parole che esprimono: la felicità l' eudamonia greca (e Galimberti si è autodefinito ieri "greco", per la sapienza greca antica), ovvero la realizzazione del daimon, la propria vocazione; ma "secondo misura, come è scritto sul frontone del Tempio di Delfi".

La felicità non è immagine, ovvero bellezza e giovinezza a tutti i costi, ottenute in modo innaturale, un eterno presente che non finisce mai. Mentre il denaro, ormai un mezzo assurto a fine, e fine sommo per i più, procura beni sempre più fragili e meno duraturi, cose che devono durare poco per alimentare il mercato. Tra noi, sempre più giovani, e le cose usa e getta appena fatte, c'è modo di sentirsi quasi immortali, come Dei in terra.

All'insegna del consumismo di massa e del capitalismo multinazionale, che è sviluppo, ma non sempre progresso, perché il progresso non è solo quantità, ma soprattutto qualità. I miti pure sono diffusi, globalizzati anch'essi; ma la mondializzazione delle cose ha compromesso l'universalità dei valori. I valori, mortificati, vanno riscoperti; con consapevolezza e coraggio di cambiare. E Galimberti, filosofo e osservatore della natura umana, smaschera i luoghi comuni, i falsi idoli di oggi, in un saggio corposo, analitico, a volte impietoso. Perché se le cose cambiano, devono cambiare anche le parole che le rappresentano. E per cambiare le idee stantie, ci vuole coraggio.

Secondo me, però, alla pars destruens, come prescriveva Francesco Bacone e come ho accennato nell'intervento all'incontro con lo scrittore, dovrebbe seguire la pars costruens, azioni coerenti. Nel sistema di cui facciamo parte, non dobbiamo rinunciare alla nostra parte, pur di nicchia di persone che pensano.

Quindi, "Pensare di più" è l'esortazione di Galimberti, come l'insegnamento di Socrate ai giovani ateniesi era "Conosci te stesso" (incisa sempre sul Tempio di Delfi) e l'invito ad un'esistenza autentica per Nietzsche fu "Diventa ciò che sei" (da "Ecce homo"). Ma Galimberti è, sì, un greco dotato di metis, ovvero la capacità di capire, ma soprattutto della capacità di raccontare, come Ulisse, l'uomo più dotato di metis mai esistito. Noi eravamo lì, nella Sala dell'Accademia di San Luca, ad ascoltarlo, , come i Feaci nella reggia di Alcinoo. in silenzio grato e ammirato.


Roma, 12 novembre 2010
Lorena Carpentieri
[Circolo Biblioteca Rispoli]

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